LA RECHERCHE HUMAINE (IN SCULTURA)

PREFAZIONE

La forma

di Gilbert Kruft, Bologna, 06.07.2002

Nella mia professione non si dovrebbe lasciare la parola, per la descrizione, interpretazione e valutazione solo al critico d’arte. Nel mio caso personale sarebbe perfino sconsiderato, perché non concepisco mai una scultura fine a se stessa. Per me la scultura era ed è in primo luogo il mezzo per comunicare una tematica e la sua interpretazione. L’approfondimento spirituale d’una problematica e la sua comprensione sono per me il punto fondamentale e, se riesco in questo, diventano un arricchimento per me e talvolta, in relazione al tema, anche una liberazione. – Solo allora, quando ho capito l’essenza di un tema e ne vedo le varie componenti davanti a me, posso scegliere il “vocabulario” formale per l’espressione plastica. Per me non ha senso fidarmi solo della intuizione.

La scultura diventa cosi solo l’ultimo atto, la visualizzazione d’un lavoro mentale e non il punto di partenza. Per me sarebbe senza senso creare una scultura fine a se stessa, limitandomi alla concezione formale (l’art pour l’art). La forma, come il colore nella pittura, ha una funzione utile per me, la sua perfezione si lascia festeggiare anche avvolta in una tematica.

E qui si dividono le opinioni.

Le  arti visive del dopoguerra: l’arte diventa merce

In fondo è una pazzia, quello che è successo nel settore delle cosiddette arti visive nei decenni del dopoguerra.

Dall’impotenza del perduto orientamento artistico nascevano negli anni ’50 e ’60 pretese tanto radicali quanto contrastanti con il concetto d’una validità unica, pretese sostenute da un nuovo fenomeno, la speculazione sul mercato dell’arte. Nascevano allora le Fiere dell’Arte e la sovrabbondanza della gallerie d’arte, come pure l’accettazione e l’esercizio pratico delle vecchie ma valide leggi del mercato.

L’arte diventava merce.

E poiché ogni fiera classica presenta le ultime novità, e anzi deve farlo per attirare l’attenzione della clientela, cosi doveva adeguarsi a queste vecchie valide regole anche l’arte.

Fra l’altro nacque il termine raffinato “nuove tendenze” non il “nuovo”, ma la tendenza verso di esso. Con questo termine il gallerista odierno si è creato un sottile alibi. Adesso può esporre ogni peto artistico senza garanzia della sua validità. Qui comincia il tempo della “apparenza “non come una corrente in sé compiuta e voluta, ma come una necessità del mercato.

L’arte attuale ignora una delle sue fonti, il “tempo “Il tempo per lasciare maturare un lavoro, il tempo d’una esecuzione secondo le regole d’arte, il tempo di una preparazione seria; concludendo, il tempo che ci vuole per un’opera artistica che superi il momento.

Questo tempo mancato nello Sviluppo di un’opera si rispecchia spesso nel breve sguardo del visitatore d’una mostra.

La vetta assoluta dell'”apparente “si cristallizza nell’arte concettuale. Qui basta la visibilità in forma originale di un concetto d’idea, che è normalmente solo il punto di partenza di un’opera d’arte, con il Superbo presupposto di stimolare la fantasia propria dell’osservatore, senza violentarla per mezzo di un’esecuzione definitiva dell’artista; e tutto questo sostenuto e benedetto con la famosa frase di BEUYS “Ogni uomo è un artista “.

BEUYS “Ogni uomo è un artista”

BEUYS : “Ogni uomo è un artista”

Questa frase si appoggia su un errore grave e su una ciarlataneria, e si giustifica con il postulato di dare all’osservatore un “impulso mentale”. In questo caso l’artista si aspetta dal suo pubblico la realizzazione dell’opera che doveva fare lui. Più è provocatorio l'”impulso mentale “più prezioso è il risultato mentale nell’osservatore

Qui errano BEUYS e i suoi seguaci perché, in altre parole nessuno va alla Scala per cantare le arie da se, oppure ad un’esposizione per terminare, per mezzo della provocazione artistica e grazie alla propria capacità personale, le opere esposte. Al contrario, l’amico dell’arte interessato cerca il godimento d’arte, la genialità artistica nella interpretazione. Egli vorrebbe arricchirsi e non essere ributtato su se stesso da un impulso mentale in qualsiasi modo creato.

L’arte è la visualizzazione dello spirituale invisibile, nella fattispecie per mezzo dell’artista e non dell’osservatore. Naturalmente quest’ultimo sviluppa un’attività mentale se è stimolato da un’opera, ma sarà sempre l’intensità e la qualità formale dell’espressione artistica a condizionare questa attività. E qui incontriamo una condizione fondamentale per un capolavoro, non importa l’epoca o lo stile. “L’armonioso rapporto della tensione” in un dipinto o in una scultura, non importa sia figurativa, astratta o informale.

Il campo della tensione nasce dai contrasti dei lineamenti, dei colori, delle forme, delle proporzioni, delle strutture etc. Quando si mettono questi contrasti in armonia fra loro allora nasce questa tensione armonizzante che trasformò un lavoro artistico in un’opera d’arte: solo allora si forma questa tensione viva, che le dà voce. Questo non ha niente a che fare con il bello o l’armonioso, piuttosto invece con la comunicazione dei contrasti, come la possiamo trovare in una sinfonia.

Questa breve digressione era necessaria per ritornare sulle intenzioni dell’arte concettuale e le sue variazioni attuali. Gli impulsi mentali che essa vuole trasmettere si verificano già in una forma molto più efficiente nella odierna pubblicità multimediale, con il risultato della loro materializzazione. In questo caso c’è una ragione di questo concetto, perché porta o potrebbe portare a una soddisfazione oggettiva, ma non in una esposizione, dove la banalità del quotidiano viene elevata all’arte, oppure l’arte viene abbassata alla banalità.

Questo sviluppo, che ha il suo inizio in America e si nota negli ultimi decenni internazionalmente, si basa in gran parte sulla perdita della capacità artistica, come il disegnare, dipingere e modellare, la tecnica di creare dal niente (poiesis). Questa capacità creativa, che esige un profondo studio e disciplina, si insegna oggi solo di rado nelle accademie, perché tanti professori non la padroneggiano più e così si rischia la perdita di essa-

Come diceva il grande maestro della storia dell’arte moderna, Sir Ernst Gombrich, cosi a proposito:

La perdita della capacità artistica: la Pop Art

L’arte va persa, ma al suo posto nascono gli artisti

Questa perdita comincia negli anni 60, con la Pop-Art proveniente dall’ America, mediante la configurazione con il readymade nei collages e negli oggetti plastici. L’ho fatto anch’io allora, per una curiosità, e solo per curiosità e per un breve tempo, perché le possibilità creative sono troppo limitate in confronto al modellato libero, e la dipendenza dal preformato diventa troppo grande. Per la generazione seguente, però, questo nuovo mezzo creativo, arricchito con fotografia, video e computer, diventava la lingua artistica. Si usavano e trasformavano gli oggetti trovati in una nuova combinazione per raggiungere un’espressione diversa, spesso con effetti sorprendenti e inaspettati. Tante opere nascevano e nascono dallo sperimentale e tante dal caso e “senza titolo”, e con questa nuova tecnica artistica due vecchi termini dell’epoca del Manierismo ritrovano nuova vita e nuovo significato: lo “stupore” e l'”enigma”, l’effetto spettacolare della sorpresa e l’occultamento enigmatico per mezzo dell’inganno ottico.

Ogni epoca si rispecchia nella sua espressione d’arte. A un interessato amico dell’arte è da consigliare lo studio della nostra società, cominciando da se stesso. Egli ritroverà molti elementi della vita quotidiana rispecchiati nelle mostre d’arte perché, in gran parte, l’arte attuale è discesa oggi dalla sua propria sintesi a un riflesso superficiale.

Si deve parlare d’una cultura dell’evento.” Solo quello che il momento crea diventa utile”. L’uomo d’oggi è inondato da una tale marea di immagini e suoni, che diventa estremamente difficile per lui raggiungere la propria calma. Questa marea ha creato nuove forme dell’espressione: lo spot o il clip, tanto breve quanto aggressivo per cancellare il precedente, e questo sviluppo nel profano non si ferma davanti all’arte. Nascono la performance, l’installazione, il video come nuove forme dell’espressione d’arte, ma con una nuova caratteristica, il tempo limitato della loro presenza.

Il tempo dell’arte

E qui incontriamo di nuovo il fenomeno del tempo nell’arte

… e qui è necessario prendersi il tempo di riflettere sulla interdipendenza di questi due elementi, tempo e arte. Il rapporto e l’influenza fra i due hanno per me un effetto affascinante e illuminante.

L’epoca greco-romana

L’epoca greco-romana

Cominciamo con le origini dell’arte figurativa europea, l’epoca greco-romano. L’unico tema e impulso creativo durante secoli è l’antico mondo degli Dèi, la loro raffigurazione nella convivenza con l’uomo antico. Gli Dèi sono eterni e, anche se non perfetti, divini e cosi erano rappresentati in quel millennio. Da un inizio primitivo e arcaico si sviluppò nei secoli una raffigurazione del corpo perfetta fino all’interpretazione idealizzata. Una lunga ma orientata evoluzione. Qui non si distinguevano gli artisti stilisticamente, ma nella perfezione artistica, che diventava patrimonio della generazione seguente.

La principale tematica era senza tempo e cosi l’arte nell’antichità aveva il tempo di Svilupparsi in questo enorme spazio fino al massimo della perfezione e di mantenerla, e naturalmente ne beneficiava anche l’arte profana. Più un’opera d’arte era perfetta, più rispecchiava il contenuto divino. E la perfezione non è un invenzione, ma il risultato di una maturità per cui serve tempo.

Quanto dipenda l’espressione d’arte dalla Lebensanschauung del suo tempo, lo vediamo dopo la tarda antichità, nel cristianesimo emergente.

IL MEDIOEVO

Il medioevo

In questi circa 8oo anni del Medioevo, l’espressione artistica non si cambia lentamente e progressivamente ma dall’inizio. L’antico rapporto con l'”al di qua” diventa ora rapporto con “ l’aldilà “ il trascendentale, il punto di orientamento dominante nella vita del nuovo uomo cristiano. L’adempimento della vita non è più da cercare e trovare sulla terra ma nella vita dopo la morte, nell’aldilà.

E corrispondentemente si cambia il linguaggio formale. Il linguaggio realistico, plastico (tridimensionale) e formalmente perfetto dell’antichità si riduce a una bidimensionalità, fissata nelle regole canoniche. L’opera d’arte medievale non si realizza nell’autoespressione, ma nell’indicazione verso il trascendentale, l’invisibile. In un certo senso un anteprima dell’arte concettuale.

E affascinante come il mondo antico e il cristiano esprimano la loro Weltanschauung in un contrasto tanto radicale quanto convincente. Da una parte un “al di qua” vissuto in pieno con l’aiuto degli Dei, e dall’altra parte il meditato “aldilà” nella nostalgia verso Dio.

E l’espressione artistica è coerente con la visione di quest’ultima cosa: si tratta per la maggior parte di immagini meditative e solo più tardi si aggiungono immagini educative.

Per l’artista cristiano legato alla sua anonimità il processo creativo di un’opera diventava meditazione attinta all’eterno.

Queste due lunghe epoche culturali contrastanti, vissute in una dominante essenzialità religiosa, ed espresse in grandi opere d’arte, non sono più immaginabili per la Società d’oggi, formata dalla sua esteriorità, perché ha perso la ricchezza e la forza creativa dell’irrazionalità religiosa e con essa una dimensione del tempo e la sua necessità. Nelle epoche descritte che si nutrivano per mezzo della irrazionalità religiosa, e si formavano durante dei secoli, si sviluppava una conoscenza del tempo, che rispecchiava la dimensione divina, e creava un continuum per l’artista nel quale poteva solo migliorare.

Lo spiacevole problema di ogni artista di oggi, “cosa posso fare diversamente, cosa posso, anzi devo, inventare di nuovo?” non esisteva ancora: c’era la sfida della maestria, “come posso fare meglio?”.

Ma adesso devo prima respirare profondamente, per descrivere il movimento del pendolo verso la parte opposta, che ci porta fino al tempo d’oggi. Il fascino dell’esistenza umana si trova nel suo contrasto, nella bipolarità dell’irrazionale in confronto alla razionalità.

Bene, respirato profondamente, riempito il bicchiere, andiamo avanti.

IL RINASCIMENTO

Il Rinascimento

Per oltre due millenni, l’uomo europeo fu incorporato e orientato nella religiosità e poi, nel XV secolo, comincia, con il Rinascimento, l’oscillazione del pendolo verso il lato opposto, “la scoperta dell’individuo“.

Non l'”Io” che si trova nel contesto spirituale con la natura e il cosmo, come nello spazio culturale asiatico, ma l'”Io” che apre le allora ancora inimmaginabili dimensioni della razionalità. La nascita dell’uomo moderno sotto tutti gli aspetti. Le ricerche della scienza (naturale) che si sviluppano da questo tempo come elemento propulsore e portante, trovano nell’arte il loro pendant. Cominciano gli studi e le ricerche sulla prospettiva, sui colori, sull’anatomia dell’uomo e dell’animale e così nascono dottrine, regole, canoni dell’insegnamento artistico validi per secoli. Nasce l’Arte come un valore glorificatore dell’Uomo, nasce l’Artista come uomo benedetto.

La creatività artistica, che era riservata nel passato al divino, serve adesso all’Io del mecenate committente, un antenato del collezionista d’arte di oggi. Questo nuovo mondo non è più formato dallo statico della religiosità, ma dal dinamismo delle nuove scoperte dello spirito razionale, e cosi lo rispecchia anche l’espressione d’arte. Peraltro, sebbene questo grandioso edificio della cultura cristiana cominci dal tetto a sgretolarsi, i fondamenti, che sono ben radicati nel terreno resistono, perché servono in questo nuovo tempo come elemento portante. La stessa cosa vale per le dottrine della lingua artistica stabilite nel Rinascimento, nonostante i cambiamenti nei secoli. Anzi, il XIX secolo, inizio dell’industrializzazione, le cementa di nuovo come reazione contro lo sviluppo tecnico-meccanico di questo tempo. Però queste nuove e inaspettate dimensioni cominciano a rompere queste vecchie regole. Si aggiungono gli effetti della prima Guerra Mondiale, che agisce nella sua distruzione, come una liberazione. Gli orizzonti si liberavano per un Malevič, un Mondrian, un Picasso o Brancusi, per i fondatori dell’arte moderna, dell’arte pura.

 Il XX secolo

Il XX secolo

Liberato dalle manette dei canoni dei secoli, l’esperimento artistico attraeva verso nuove rive. Gli anni ’20 del XX secolo producevano un vero fuoco artificiale di concetti d’immagine mai visti, sostenuti da una rara euforia creativa in tutta Europa, Un vero colpo liberatore dall’eredità del passato. Però l’artista della prima metà del XX secolo rimane ben cosciente di questa eredità in conseguenza dei suoi studi. Anche nella liberazione da essa non importa in quale stile o direzione egli lavori, le regole figurative del passato rimangano, anche indirettamente, base del suo lavoro creativo.

Lo scenario cambia dopo la successiva scossa della seconda Guerra Mondiale, e qui posso parlare d’una esperienza personale, in quanto tedesco. La situazione si può riassumere in tre termini: “Distruzione, Sradicamento, Disorientamento “.

Negli anni ’50 non esistevano più valori indicativi per il creatore d’arte, (e da qui parlo in primo luogo della scultura, il mio mestiere). O si rimasticava il passato in forma modernizzata, o si cercava il cammino verso la forma pura. Ambedue strade senza uscita e di breve durata. Entrambi, nella loro maniera eccentrica, servivano l’emozionale o il razionale, e non possedevano un centro che potesse unire ambedue per creare lo spessore artistico.

Fra queste due strade si introduce, negli anni ’60, una novità senza precedenti, la Pop-Art, proveniente dall’America, da un paese che non conosce una tradizione artistica paragonabile all’Europa, e si crea un proprio linguaggio formale con il Readymade. Certo, si conoscono affinità nel Dadaismo, dove servivano per provocare. Questa nuova possibilità espressiva, per mezzo del readymade, diventa in seguito, fino a oggi, la grande seduttrice del creatore d’arte.

Finalmente liberati dall’obbligo di creare dal nulla: i readymade

 Finalmente liberato dall’obbligo di creare dal nulla: readymade:

Conosco bene questo campo: ero, nel 1961, uno dei primi studenti dell’allora conosciutissimo scultore della Pop Art Eduardo Paolozzi, ad Amburgo. Era un tempo affascinante. Finalmente liberato dall’obbligo di creare dal nulla: prima trovare la tematica, poi il concetto formale, poi il modello in creta o gesso, e finalmente la realizzazione in metallo o pietra. Questo lungo e disciplinato processo d’una scultura si poteva dimenticare. La scultura era già sdraiata a pezzi nel mucchio dei rottami nei cantieri navali, con forme e strutture affascinanti e quasi gratis, bastava cercare e trovare. Si doveva solo segare, piegare e saldare per realizzare una scultura veramente spettacolare. Però si diventava anche dipendenti e limitati.

Questa novità della Pop Art americana di quei tempi festeggia oggi il suo trionfo nell’ Object Art, nella Video-Art, le installazione e le immagini computerizzate. La creazione figurativa nasce oggi spesso dal collage, dalle ricomposizioni del prefabbricato a costi bassi. Poiché essa si serve di cose triviali o quotidiane, sembra che la comunicazione con l’osservatore sia garantita; anche uno show profano si solleva nella performance verso l’arte, arricchito d’una profondità eccentrica,

MAGNIFICO

Quali americanismi dominanti nel nostro vecchio mondo europeo!

Dove sono rimasti i dibattiti degli artisti, prima dell’ultima Guerra Mondiale, con le loro scoperte indicative?

Nei musei.

Distruzione, sradicamento, disorientamento

Distruzione, sradicamento, disorientamento

…cercavano una nuova forza e la trovavano in America, presso il vincitore, cominciando con la PopArt, ma prima di tutto, fin dagli anni ’70, con il mercato d’arte americano, iniziato da L.C. e le “Dodici Sorelle”, che diventava dominante nel mondo. Ritmicamente, ogni 10-15 anni, le correnti d’arte erano stabilite nel senso del commercio. Come suonano artificiali le pseudofilosofiche glorificanti o annebbianti presentazioni d’artisti attuali, per opera di critici d’arte e di managers coinvolti con le loro possibilità mediali in tutto il mondo. Il valore artistico è determinato per mezzo di un artificiale valore di mercato, vedi Haring. L’arte europea ha perso la sua anima davanti alle direttive del mercato americano. Nell’arte attuale, la banalità del giorno, spettacolarmente gonfiata, calpesta la sua unica speranza, la sublimazione, e con essa il suo centro umano interno. Essa ha ancora scarsa relazione, se mai ce l’ha, con i suoi valori propri; si abusa politicamente, socialmente e commercialmente del nome dell’arte europea, grazie al suo valore cresciuto nei millenni (vedi Biennale di Venezia o Documenta a Kassel).

Però l’arte è una necessità interna dell’uomo, come la sua sessualità. Essa è di una importanza vitale, un elemento creativo della liberazione dalla limitazione umana. L’arte è una forza troppo elementare per essere condizionata a lungo termine dal di fuori, sia dal mercato sia da una ideologia politica.

Come si presenta il panorama artistico all’inizio del XXI secolo?

Come si presenta il panorama artistico all’inizio del XXI secolo?

Esso ha lo stesso orientamento del Livestyle occidentale con la pretesa primaria del Wellness, che si nutre di una irrinunciabile bramosia materiale e dei permanentemente variabili Events. L’uomo d’oggi non raggiunge, anzi non deve più raggiungere, la sua quiete, come una trottola, che rimane in piedi grazie alla sua forza centrifuga. Questa forza centrifuga da se stesso, che nasce ed è tenuta in vita dall’attrazione dell’esterno è la sua causa prima dell’autoalienazione, che porta all’angoscia davanti a se stesso. Non per nulla c’è il grande successo del cellulare. Portando questo concetto all’estremo, in futuro si potrebbe parlare dell’uomo come essere sconosciuto a sé. Qui, anche l’arte attuale non sarebbe più in grado di aiutare, perché si è appoggiata sullo stesso principio. :

Le Discipline classiche della grafica, Pittura e Scultura non sono quasi più presenti nell’ operato degli artisti in voga. Al loro posto però c’è una ricerca frenetica verso nuove forme e nuovi mezzi d’espressione. Questi diventano adesso spesso il punto d’attrazione decisivo d’una mostra. Il mezzo dell’espressione è arrivato a una importanza primaria, quanto più spettacolare e più grande è, tanto è meglio. Non si parla più d’un quadro, ma di un “oggetto d’immagine” e una scultura diventa un “oggetto plastico”. L’arte d’oggi si è allontanata in gran parte dai criteri classici, o si dovrebbe dire liberata e, in questo caso, a quale prezzo ?

Questo si potrebbe esprimere, con piccola variazione, per mezzo di una formulazione di Ortega y Gasset:

Il trionfo del momento sullo splendore della durata

Come la nostra società vive sempre più intensamente nel e per mezzo del momento, ed è in corsa da un event all’altro, così anche l’avanguardia è diventata un evento affine nella superficie dell’apparenza, che si può consumare anche in piedi.

Ma cosa me ne importa?

Scultori, non artisti d’oggetto, sono da sempre più radicati. Le mutazioni delle correnti d’arte non avevano importanza per il mio lavoro, eccetto una, il già descritto esperimento con il readymade della PopArt, che aveva un certo fascino su di me per la sua idea base, che ho sviluppato per le mie esigenze.

Io percorrevo il sentiero opposto

Non avevo più bisogno di oggetti trovati

Non avevo più bisogno di oggetti trovati. Io riscoprivo la già studiata anatomia muscolare. In essa trovavo quella ricchezza della forma libera che mi permetteva qualsiasi combinazione desiderata, con una naturalezza sorprendente nell’espressione corporea accompagnata dalla precisione della forma pura, che mi permetteva un elemento essenziale nella scultura, l’estetica.

Non dovevo più “astrarre” un corpo, anzi potevo formare nuove anatomie. Con questa in sé geniale e, nello stesso tempo, umana lingua corporea potevo dedicarmi a quello che mi interessava nel profondo: la parte immateriale del uomo.

Percorrevo il sentiero opposto alla maggioranza dei miei colleghi, dall’esterno verso l’interno, in una direzione e orientamento che, con il tempo, la nostra società e così anche l’arte futura non potranno né negare né evitare.

Gilbert Kruft, Bologna, 6.7.02