LA RECHERCHE HUMAINE

PRIMA PARTE

La domanda sul senso dell’arte

di Gilbert Kruft  Bologna 09.09.2002

Questo tema ha la sua origine in un deserto di pietre all’altezza di mille metri, nella Causse de Sauveterre, nel sud della Francia (Lozère).

Dopo la conclusione degli studi, nel 1962 avrei potuto fare come i miei colleghi, tuffarmi nelle onde, allora agitate ma anche invitanti, dei movimenti artistici, per nuotare insieme nelle correnti e nei vortici. Ma una domanda elementare, e rimasta senza risposta, che era legata alla contraddittoria scena d’arte d’allora, la domanda del “senso dell’arte”, mi tratteneva. In quel vuoto d’orientamento, non si poteva aspettare alcuna risposta convincente ed ero stanco delle discussioni notturne e dottrinarie. Avevo bisogno di distacco, avevo bisogno di quiete per elaborare ciò che avevo studiato e imparato in tanti anni d’accademia, per trovare risposte valide per me.

La prima cosa che trovai su questo cammino fu questo incomparabile, affascinante deserto di pietre, la Causse de Sauveterre, che mi metteva a confronto con il suo inaspettato, mai provato, silenzio. Un silenzio che si forma dal vento, che diventa in Provenza il Mistral. Un cielo, che sembrava durante il giorno immenso nella sua chiarezza, come nella notte con le sue stelle vicino da toccare. Questa natura, nella sua estrema chiarezza, accompagnata da una forma di vita quasi medievale, condotta ancora solo da poche famiglie di pastori su questo altipiano, era il contrasto che cercavo e nello stesso tempo la provocazione per misurarsi con una dimensione diversa e più grande, davanti alla quale le discussioni d’arte, che risuonavano ancora nel mio orecchio, sembravano ridicole.

All’inizio solo intuitivamente, ma con gli anni in maniera sempre più cosciente, capivo l’incomparabile chance che mi si offriva. La chiarezza e la singolarità di questa natura costringono ciascuno a una risposta proporzionata, davanti a se stesso, per sopravvivere. Una scuola dura, ma istruttiva e proficua. Il silenzio del paese della Causse, all’inizio affascinante ma poi anche spaventoso, diventa, se si trova la risposta adeguata in sé, una amante indispensabile, anche adesso, mentre scrivo. Naturalmente il suo viso è cambiato nei decenni, ma la sua natura è rimasta eguale, anzi si è potenziata in me, per guidarmi ai miei pensieri e a me stesso.

Il silenzio, la mia amante indispensabile

Il silenzio di questa dimensione extraumana, che ho incontrato là per la prima volta, è diventato per me l’amante indispensabile, perché mi porta sempre di nuovo, e soprattutto nei momenti difficili, a me stesso. Era lei che mi poneva la domanda “Chi sei?”, e voleva la risposta per me, perché potessimo vivere insieme. In lei mi ritrovo, in lei mi rigenero. Sono merito di questa amante insolita le mie sculture e infine il mio ego, perché prima di prendere decisioni importanti nel lavoro artistico, come nella vita privata, la ricerco e la lascio con occhi aperti.

Se non l’avessi trovata, non avrei avuto la pazienza e la calma di lasciar maturare il mio lavoro scultoreo e la mia tematica e avrei nuotato, insieme con altri, nelle attuali concezioni d’arte, senza trovare la mia propria.

Ella mi ha guidato a otto interpretazioni diverse del silenzio umanamente concepibile e mi ha risolto la questione del “senso” dell’arte in un punto elementare: “rendere visibile l’immateriale, lo spirituale”. Di questa pretesa essenziale io mi sono appropriato con un respiro liberatorio, svincolandomi finalmente dall’autorispecchiamento narcisistico dell’arte attuale. Qui trovavo il senso e la necessità, qui trovavo quell’elementare e inesauribile tema, la recherche humaine.

Questa tematica, nella sua affascinante complessità, si è sviluppata negli anni verso il fattore dominante nella mia scultura, che è inseparabile da me stesso. La scultura come espressione di se stessa è diventata per me una formula vuota. Non potevo più accettare la forma plastica come unico criterio di valutazione. Non si può valutare una lingua, in questa caso la lingua formale, neppure nella sua massima perfezione, come unico contenuto della scultura nella sua autoespressione. Essa fallirebbe già davanti alla perfezione d’un uovo.

La lingua serve al contenuto non viceversa

La lingua serve al contenuto, e non viceversa. Con questa frase arriviamo a un problema serio dell’arte d’oggi, la barriere dell’incomprensione fra l’artista e il pubblico. Qui non voglio entrare nel merito; devono bastare due detti da entrambe le parti: l’artista, “essi sono ancora insudiciati dal passato nella comprensione dell’arte”; l’osservatore, “costui ci prende in giro”.

Dovevo, per la tematica che volevo comunicare, superare prima di tutto questa barriera. E qui, per la seconda volta nei miei anni giovanili, ebbi fortuna, dopo la scoperta della Causse de Sauveterre. Dalla fine degli anni ’60 cominciai a condurre visite guidate d’arte in Italia e in Francia. Un fatto che mi ha sempre ogni volta stupito e entusiasmato, nei dodici anni di attività, era l’instancabile interesse del mio pubblico, che lo teneva sveglio fino alle ore serali. Si sentiva viva la sua necessità d’arte, necessità che si saziava con le opere del passato, irrigidendosi, però, quando lo conducevo ad una mostra d’arte contemporanea, nonostante le spiegazioni dettagliate. La ragione, per cui spesso non nasceva la comunicazione con le opere, si potrebbe trovare nella frase, con le sue variazioni, d’un partecipante: “Non sento nessun contatto emozionale o sensuale con queste opere; le capisco meglio ora, grazie alle sue spiegazioni, ma non le sento.” Si trattava, per la maggior parte, di lavori informali.

Queste reazioni di un pubblico fortemente interessato all’arte mi davano da pensare. Nasceva questa barriera, che portava spesso al rifiuto, dalla tematica o dalla lingua formale? Probabilmente da entrambe, se c’era un titolo. Nelle vivaci discussioni che ne seguivano, si cristallizzava quasi sempre lo stesso elemento, che portava all’indifferenza o al rifiuto.

Era l’insufficiente o non esistente punto umano di riferimento. A causa di ciò i concetti dell’immagine o della forma diventavano nel loro ermetismo d’arte pura una autorappresentazione. Con questo assolutismo l’immagine perde la componente umana e così anche la capacità della comunicazione.

Un vocabolario formale ex novo

In base a queste riflessioni, che riconoscevo personalmente decisive, dovevo, all’inizio degli anni ’70, ripensare il mio intero concetto formale, perché anch’io ero un aderente di questo ermetismo. Il tema della recherche humaine, che era divenuto in questo tempo il contenuto principale, non si lasciava esprimere e comunicare per mezzo della forma pura.

Dovevo trovare un vocabolario formale ex novo, perché da una parte l’astrazione del figurativo non era sufficiente, e dall’altra parte non volevo lasciare il fascino della forma pura. In ragione di questa cogente tematica umana, dovevo trovare una simbiosi, che unisse la componente umana con il purismo formale.

E qui mi aiutava di nuovo la mia amante, che ricercavo e che, nella nostra unione, mi apriva gli occhi.

La soluzione non era nel visibile, ma sotto la pelle umana

La soluzione non era nel visibile, ma sotto la pelle umana, nell’anatomia muscolare. Ogni muscolo si presenta come pura forma plastica senza significato. Solo nella combinazione potrebbe risultare espressione figurativa, oppure in una composizione libera, saltando l’anatomia corporea, superando il limitato realismo, può portare a inaspettate, specifiche interpretazioni. Le possibilità espressive sono quasi illimitate, perché abbiamo a che fare con forme libere, che mantengono però, e questo è decisivo, una componente umana.

Con questa scoperta si apriva per me una possibilità finora sconosciuta nella lingua formale ed espressiva, che corrispondeva alla mia tematica, senza essere costretto a concessioni artistiche. Quando cominciai, nel 1973, a lavorare con questo concetto, vivevo già in Italia e conoscevo il Paese per la mia pluriennale attività nella storia dell’arte. Sempre osservando e cercando per la mia tematica, cominciai a interessarmi, in quando nordico, allo sconosciuto (per me) linguaggio delle mani e dei gesti, soprattutto nel sud. Questa comunicazione silenziosa e facile, anche nel più grande rumore e nelle situazioni compromettenti o in descrizioni euforiche, era per uno spettacolo espressivo incomparabile.

Cominciai a studiare il linguaggio delle mani fino alla punta delle dita. Una lingua senza grammatica, una lingua del batter d’occhio, nel doppio senso della parola. Ci trovavo una sintesi dell’espressione in forma minimalistica. Non potevo lasciarmi sfuggire questo, e cominciai a inserire la mano come elemento espressivo nella scultura. Proprio la mano, l’elemento più difficile nella lingua artistica, però, se si esprime, quanto efficace nel parlare e nel comunicare!

Questo nuovo concetto formale non proviene da uno sviluppo continuo, ma da una riflessione intellettuale, legata a una intuizione artistica. Non c’erano passaggi, nasceva da una necessità tematica e diventava autonoma.

Il contenuto. Non ci fu mai un tema più grande per l’uomo, che l’uomo stesso 

Con questa frase concludo la parte formale e mi rivolgo al contenuto.

Non ci fu mai un tema più grande per l’uomo, che l’uomo stesso. Questa constatazione potrebbe suonare, nella sua concisione, banale, ma è autentica. Ogni uomo diventa, di solito inconsciamente, più di rado coscientemente, il suo proprio tema. In questo contrasto dell’inconscio e del conscio trovo la grande sfida nella mia attività artistica e intellettuale, che non posso separare. Nell’inconscio, l’uomo è e rimane dipendente da questa tematica; nel conscio potrebbe dominarla. La trasformazione dall’inconscio al conscio, che potrebbe arrivare alla coscienza, l’ho divisa in tre fasi:

  • l’esterno, o il visto;
  • l’interno, o il vissuto;
  • la riflessione, o il meditato.

Il visto o l’esterno

Cominciai con l’esterno, con il mio simile. Studiavo il conosciuto e lo sconosciuto con l’intenzione di superare il ritratto classico per fissare ed esprimere ciò che avevo scoperto in una interpretazione più libera. Tra più di quaranta opere ne ho scelte quindici per fonderle in bronzo. Quello che mi interessava di più era il modo e l’intensità con cui il loro tema umano si manifestava nei loro volti. Il confronto con l’altro l’ho posto coscientemente all’inizio per interesse personale, perché con ogni lavoro imparavo qualcosa su di me, confrontandomi con l’altro, che diventava uno specchio della mia propria persona, non nella valutazione, ma nella comprensione.

Il vissuto o l’interno

Dopo questa intensa “extrospezione” ero pronto per l’introspezione del mio vissuto personale. Questo secondo capitolo della recherche humaine, l’interno, si basa in fondo solo sull’emozionale e perciò sull’inconscio. Nel suo insieme è una raccolta che si compone da sé, dominata dalle forze distruttive ma anche creative: l’amore fra i due sessi e la sua necessità.

Cominciai, nascondendoli sotto il generico titolo “Esasperazione”, con i suicidi per delusione d’amore dei miei due fratelli minori, e con quello, che si preannunciava, di mia madre, continuando nel vissuto in proprio fra la ricerca ideale e la realtà.

Non voglio entrare nei dettagli, perché penso che le sculture, che hanno vari aspetti come contenuto, parlino per sé; però voglio parlare sulla sinergia della ricerca artistica e mentale con il vissuto emozionale, e su cosa ha mosso in me. Ogni scultura diventava un atto di liberazione.

Il meditato o la riflessione

Il vissuto, nel subire come nell’agire, passava da emozionale a cosciente, e mi liberava, creandomi il distacco necessario per il terzo capitolo, che ha come tema “la riflessione, o il meditato.” Nella estesa dimensione del pensiero meditativo si trova il presupposto essenziale che potrebbe trasformare l’inconscio emozionale, facendolo passare coscientemente alla coscienza, il che è la vera ragione della recherche humaine.

I temi che qui mi riguardano si sviluppano nel processo temporale già descritto e non sono più orientati direttamente su me stesso, ma sono di interesse generale, e diventano nello stesso tempo una sfida alla possibilità scultorea nella sua sintesi necessaria. Il punto di partenza di ogni lavoro era sempre l’analisi mentale del tema di volta in volta considerato. Solo dopo il suo chiarimento entrava, nella decisione concettuale, l’intuizione artistica, alla quale seguiva il lavoro scultoreo vero e proprio.

le varie forme del silenzio umanamente concepibile

Un tema mi ha attirato particolarmente, le varie forme del silenzio umanamente concepibile. La mia amante, Silence, non mi ha mai lasciato, però dovevo diventare prima quarantenne, per essere capace di risponderle, e questo in otto sculture, una per ogni diversa interpretazione. Questa attività del pensiero meditativo esteso per tutti gli anni ’80, si concluse per il momento con la sintesi della “Coscienza”, una scultura alta 45 cm, ora rielaborata in grande.

Il tema della coscienza

Il tema della coscienza era fin dall’inizio il mio punto d’arrivo, però ancora così lontano nel concreto. Però, alla fine di questo lavoro di circa venti anni, la soluzione si presentava davanti a me con tutta la sua naturalezza, nata dalla somma delle riflessioni negli anni.

La soluzione della “Coscienza” nasce dall’equilibrio della tensione fra l’intelligenza emozionale e quella razionale. La persona che riesce a portare queste due forze del nostro essere, quasi sempre conflittuali, ad un equilibrio armonioso e a mantenercele, diventa cosciente della misura umana. Un primo passo verso la sapienza.

Il cammino è stato lungo, fino a quel punto finale provvisorio, documentato da 45 sculture in bronzo, senza contare gli studi preparatori. Per resistere come scultore su questa distanza ci vuole un lungo fiato.

Però mi sento ricompensato e arricchito. E comunque, il tema della recherche ha continuato a vivere anche nella fase successiva dell’Epilogo.