DAVANTI ALLE SCULTURE DI GILBERT KRUFT

a cura di Rafaele De Grada

C’è chi teme che il nostro atteggiamento  rispetto alle opere del passato sia molto diverso da quello che avevano i contemporanei

C’è chi teme che il nostro atteggiamento percettivo rispetto alle opere del passato sia molto diverso da quello che avevano i contemporanei. Ma che dire di quelle che escono dalla consuetudine e che non sono certo fruibili sul piano della norma? Pur essendo esse opere della nostra contemporaneità?

È quanto ho pensato quando ho visto per la prima volta le sculture del tedesco Gilbert Kruft, un artista che è nato a Colonia nel 1939, che ha studiato nelle accademie della propria città, di Stoccarda e di Amburgo dal 1955 al 1962. Un personaggio straordinario il Kruft.

Un personaggio straordinario il Kruft. Su di lui la cultura ha avuto un curioso effetto…

Un personaggio straordinario il Kruft. Su di lui la cultura ha fatto un curioso effetto a giudicare dalla ripulsa che infine ne ha sentito, tanto che a ventitré anni ha lasciato tutto e se n’è andato a fare il contadino in un dipartimento della Francia, a Champerboux, nella Lozère. Mentre faceva il pastore di mandrie, Kruft scolpiva, cercando di sottrarsi a tutto ciò che aveva appreso, al passato della cultura. Dalla solitudine ne è venuta una lunga, meditata elaborazione da cui si è maturata la sua esperienza attuale, quella che noi vediamo sotto i nostri occhi e che è di un tempo in cui l’impatto culturale è ritornato pienamente, anche perché Kruft della « cultura» ha fatto recentemente la sua professione facendo il mestiere di accompagnatore di comitive di tedeschi in viaggi culturali in Italia di cui egli spiega le bellezze artistiche, proprio i valori del passato, risiedendo prima a Lugano, oggi a Bologna. E sono ormai più di dieci anni.

È necessario conoscere la storia di questo artista per capire 

È necessario conoscere la storia di questo artista pur non ancora quarantenne per capire come queste sculture di Gilbert Kruft non derivino da un’improvvisata avventura di forma. Esse sono l’ultimo portato di una stratificazione cui hanno collaborato e studio accademico e meditazione individuale, ripensamento culturale e contatto con ambienti vari come possono essere stati quello tedesco, svizzero, francese e italiano, europeo insomma nella sua più vasta eccezione, che non è quella europea di una città sola, per quanto importante essa possa essere.

L’eccezionalità della scultura di Kruft non è quindi casuale, ha una sua storia… 

L’ambiguità e l’eccezionalità della scultura di Kruft non è quindi casuale, ha una sua storia.

Tutto il processo di transazioni da cui deriva la scultura di Kruft, di cui ci si può rendere rapidamente conto (ma è meglio conoscere anche la sua storia) pone questo scultore germanico fuori dalla corrente mimetica dei manichini di George Segal e di Edward Kienholz ai quali a tutta prima potrebbe essere avvicinato.

Kruft modella una gamba, un deretano con tutti i loro muscoli e inserisce in essa con tutta naturalezza un braccio spropositato in assurda torsione. Che ha a che fare tutto ciò con gli inerti manichini di Segal che giocano al flipper, che rapporto c’è con la visione tutta meccanica degli iperrealisti? Nulla, assolutamente nulla..

In Kruft si avverte una immediata, forte volontà di abbracciare l’opera come struttura

In Kruft si avverte una immediata, forte volontà di abbracciare l’opera come struttura, secondo i principi di una forma bloccata, con un implicito traslato

simbolico come potrebbe essere quello di significare la distorsione, l’assurdo di una civiltà intollerante e delittuosa come la nostra che ha piegato l’uomo, pur conservandone gli aspetti «normali » (le braccia inserite direttamente sulla testa o sull’addome sono il simbolo della distorsione a cui siamo sottoposti) ad abitudini barbariche nell’ipocrita conformismo delle apparenze. Kruft cerca piuttosto di far collimare questo suo impegno simbolico, in lui indubbio, con i dati di una scultura di «forma», suggestionato certo dalle «stele» di cui è tanto ricca l’arte contemporanea. Queste «braccia» che si elevano con la mano aperta verso l’alto ci fanno pensare a quei profilati monumentali in metallo che Dzamonja erige a trasformare un paesaggio, come le antiche pietre druidiche segnavano un deserto con un indizio dell’uomo.

A me piace Kruft perché

A me piace Kruft perché non si è fermato a questa idea eccelsa, anche monumentale, della forma, non gli ha sacrificato tutte le componenti psicologiche, che in termini estetici, si possono chiamare transazionali, che in lui sono prevalenti. Al contrario Kruft crea immagini in cui l’ambiguità del simbolo, come quelle braccia che si chiudono in torsione con gli indici delle mani appuntiti l’un verso l’altro, stanno a significare una relazione tra il piacere formale della torsione e l’invito all’azione psicologica che questo anello, una sorta di corona ferrea, produce su chi guarda, un’azione di costrizione, di tortura fisica.

Gli inserti di arti in masse corporali,  collegano Kruft alla migliore scultura antropomorfa.

Gli inserti di arti in masse corporali, che vengono da una emozione diretta, fisica, dell’artista, trascendono dunque ad un significato concettuale che collega Kruft alla migliore scultura antropomorfa. Mi viene da pensare alla mano di Rodin, che esce dalla tomba di un cimitero come ultimo segno disperato di vita. La mano, il braccio. Quale migliore simbolo esortativo, una volta si sarebbe detto vindice?

Ad aggiungere significato ai puri dati percettivi plastici di Kruft concorrono le teste, che dimostrano quanto egli sia abile ritrattista. Ci risulta infatti che egli lo sia stato e lo sia. Le «teste» di Kruft hanno un significato, sono assolutamente caratteriali. Non si tratta di una scultura mimetica, ma di una ispezione realistica che conferisce una grande importanza alla sua personalità, che non si basa soltanto sull’intelligenza dell’immagine ma anche sulla abilità della ricerca tipizzante.

Per tutte queste ragioni ritengo di poter presentare questo scultore come una delle personalità artistiche che segnano con sicurezza un periodo, ricco di valori quanto confuso nella loro conoscenza, il nostro.

Rafaele De Grada